mercoledì 30 maggio 2012

profondità

Il grave peccato del sapere oggi è la mancanza di profondità. Chi lavora sulla strada sa invece che la "strada" è il luogo in cui ogni sapere cozza contro i propri limiti. E' un luogo di formazione e di educazione permanente. Non c'è posto sulla strada per facili certezze, per facili scorciatoie. La strada provoca a scendere in profondità, a impastarsi nella storia delle persone, ad accoglierla ma, più ancora a riconoscerla. Perchè non basta accogliere l'altro, bisogna saperlo riconoscere. E quando riconosci l'altro, la sua storia, ti accorgi che la strada non è mai una scelta, ma è sempre il segno della distanza delle persone dai propri diritti.
Tratto da: Entrare di più nella storia, Intervista a L. Ciotti a cura di R. Carmalinghi, Animazione Sociale n.10, 2009, pg.3

lunedì 28 maggio 2012

sedie


Se fisso i miei piedi
i ricordi son tetri,
e alla mia mente
riaffiorano i metri .

Decine, unità,
chilometri d’anni,
fatti qui dentro,
qui nei miei panni .

Da bimbo m’alzavo
la sedia era un letto,
e ogni sbadiglio
un sogno in difetto .

Correvo da mamma
con passi innocenti,
sul vecchio parquet
...tamburi battenti .

Muri e finestre,
porte e balconi,
formavano stanze,
stanze in mattoni .

Nella mia fantasia
sembravano regge,
oggi son quotidiani
che nessuno più legge .

Io vago per viali,
io sosto per vie,
se passa qualcuno
io sto sulle mie .

Se scende la notte
qualunque essa sia,
aspetto quel sonno
che fa compagnia .

E i sogni che faccio
mica son terni,
ma anni di scuola,
penne e quaderni .

Piegato sui libri
non ero mai stanco :
era d’aula la sedia
sotto a quel banco .

Uscito da scuole
con foglie d’alloro,
un posto cercai
colore dell’oro .

Nel tanto bussare
una sedia trovai,
già tasti e bottoni,
non più calamai .

Poi venne la crisi
di quelle ben toste,
e così coi verdoni
prendei le batoste .

Se penso alle donne,
quante ne ho amate !
Con queste mie mani
carezze ne ho date .

Le sporche mie dita
oggi dicono niente,
ma ciò che han toccato
mi torna alla mente .

Risento il profumo
di un seno e di pelle,
ecco ancora una sedia :
lei la Mia tra le belle .

Con questi ricordi
affronto i dolori,
e faccio di tutto
per fissare i colori .

Piano o di corsa
io provo e riprovo,
finché una panchina
è la sedia che trovo .

Con questi pensieri
affronto la gente     
e quella per-bene,
e quella per-niente .

E dico ai miei occhi
di urlare nei cuori :
“io dentro son uomo,
ma son uomo fuori...” 

                          Riccardo Grotto


 La poesia ha come filo conduttore qualcosa o qualcuno su cui “sedersi”: è la storia di una vita fatta di tappe concrete ed emozioni, incontri ed eventi, età e luoghi diversi. Un insieme di cose ricordate ad occhi aperti o ad occhi chiusi. Tante cose che sembrano aver avuto termine chissà per quali intoppi; ma di certo tutto questo ha lasciato il segno, comunque. Forse tutto questo è solo scritto negli occhi silenziosi di colui che racconta o potrebbe raccontare. Chi saprà guardare costui negli occhi leggerà e capirà. E capirà anche che questo Senzatetto che parla è una persona normale, normalissima a volte. Che la vita ha messo fuori, pur lasciandolo uomo dentro.

venerdì 25 maggio 2012

la strada ammala

Una cosa che ritengo spesso trascurata e ignorata, è la presenza tra i senzafissadimora, o comunque tra coloro che si trovano ai margini, di una grande incidenza di problematiche sanitarie.
La vita di strada non consente una buona cura di sè, quindi non è infrequente incontrare soggetti con delle problematiche infettive e/o con un precario stato di salute mentale.
Dentro a questo mondo vi è infatti un'elevata estensione di sofferenza psichica.
"Appare una prevalenza di disturbi psicotici e depressivi gravi che indica un alto grado di sofferenza mentale, un più pesante livello di destrutturazione, in cui l'aggressività non è solo eterodiretta o assume la forma della provocazione, della pretesa o della maschera di ruolo, ma risulta fortemente autoindirizzata, con un esame di realtà molto più indebolito, con comportamenti meno prevedibili e maggiormente a rischio."
L.Grosso, Cosa abbiamo imparato insieme ai senza dimora?, Animazione Sociale n.5, 2009, pg.91
Si può concludere quindi che la vita di strada e la marginalità possono solo favorire l'insorgenza di questi disturbi e il loro aggravamento.

giovedì 24 maggio 2012

Il lavoro

Nel secondo dopoguerra, nei Paesi industrializzati (tra cui anche l'Italia), c'è stata  una forte spinta verso un maggior benessere della popolazione, dove il lavoro rappresentava lo strumento per raggiungere questa condizione.

Negli anni '60-'70 il lavoro assume la funzione di integratore sociale. In quegli anni è sinonimo di universalismo e solidarietà. Il lavoro rappresenta uno status sociale e ciò procura al lavoratore stesso  un riconoscimento all'interno della società. L'attività lavorativa assicura identità all'individuo, ma anche un'identità collettiva e un'appartenenza sociale. In quegli anni nascono il sistema pensionistico, sanitario, scolastico e sociale in Italia. Il lavoro diviene quindi anche strumento per la partecipazione al benessere collettivo.

Negli anni '80 il lavoro perde i significati precedenti e acquista i nuovi significati di autonomia e responsabilità. Se precedentemente quindi era "povero" chi non aveva un salario, in quegli anni lo stesso termine è attribuito ad un senso di non autonomia e irresponsabilità.

Oggi al lavoro è attribuito solo un significato di produzione del reddito. Si ha una scomposizione funzionale della vita sociale in settori di ogni ambito vitale dell'individuo, ognuno con il suo proprio obiettivo. Il rischio di scivolare nella povertà quindi aumenta, non solo per l'incapacità dell'individuo di tenere separati i diversi ambiti, ma anche  per l'essere egli stesso troppo vincolato ad un'attività che dava identità sociale.
Il lavoro non è più il grande integratore produttore di uno status, ma allo stesso tempo oggi non c'è nessuna alternativa a questo suo vecchio ruolo. Il lavoro inoltre è sempre più sganciato dal luogo di appartenenza sociale e relazionale. Non da ultimo, non esiste una stabilità per il lavoratore a cui di fatto è richiesta sempre più flessibilità, con una identità personale che passa gradualmente in secondo piano rispetto al lavoro stesso.                  
Per favorire un reinserimento di soggetti in difficoltà sarebbe buona prassi aiutare innanzitutto la persona a raggiungere una maggiore stabilità. Successivamente bisognerebbe promuovere attività lavorative con una doppia valenza tecnico-produttiva e di accompagnamento della persona.

Liberamente tratto da: G.Invernizzi, Se il lavoro non è più il grande integratore, Animazione Sociale n.4, 2009, pgg.62 e succ.

martedì 22 maggio 2012

relazioni e appartenenza

La condizione di grave marginalità e di esclusione sociale è caratterizzata da assenza di risorse per condurre una vita dignitosa, ma anche (e ciò è spesso sottovalutato) da compromissione delle relazioni e del senso di appartenenza.
Come scrive G.Invernizzi, si osserva che nelle fasi iniziali del processo di esclusione sociale si verifica un lento logoramento e allontanamento della rete parentale e amicale. In seguito la stessa cosa succede  per la rete dei servizi sociali pubblici e privati di riferimento. Al contempo si ha la costruzione di una nuova rete di appartenenza riferita al contesto di marginalità. Rete in cui il soggetto si sente riconosciuto e trova nuove forme di appartenenza e protezione.
L'appartenenza ad un gruppo di pari (cioè di persone che condividono lo stesso disagio) favorisce un nuovo equilibrio nella persona, in quanto il gruppo è portatore di identità, di regole e di riconoscimento.
"Entrare in rapporto vuol dire riattivare un motore, motivare la persona a mettersi in gioco."

G.Invernizzi, Riaprire la possibilità di un'altra storia, Animazione sociale n.4, 2009, pg.55
Favorire il crearsi di un gruppo di mutuo aiuto non ha solo funzione affettiva, poichè le relazioni che si creano incidono sul soggetto, sulla sua fiducia e motivazione.
 "Si sta prendendo consapevolezza che non esistono soggetti che accettano la relazione e altri che non l'accettano, ma che esistono dei tempi, delle situazioni e delle modalità per costruire delle relazioni con le persone in condizione di esclusione. La relazione è una modalità di intervento che può essere giocata con tutte le persone, ma va personalizzata, non può essere standardizzata."
G.Invernizzi, Riaprire la possibilità di un'altra storia, Animazione Sociale n.4, 2009, pg.55




venerdì 18 maggio 2012

domanda primaria

La prima necessità che emerge quando ci si relaziona con persone che vivono in strada è la soddisfazione dei bisogni primari: mangiare, dormire,lavarsi, coprirsi. 
Sono nate a riguardo numerose strutture in tutto il territorio italiano allo scopo di dare soddisfazione a queste richieste: dormitori, mense economiche popolari, centri di prima accoglienza, unità di strada, sono solo alcune di queste risposte.
Servizi offerti e gestiti sia dai comuni attraverso i servizi sociali che dal mondo del privato come associazionismo religioso e laico. Grande il contributo del volontariato.

L'associazione presso cui io svolgo il tirocinio, offre un servizio di prima accoglienza. Si occupa di distribuzione dei pasti, servizio doccia, ma offre anche un luogo di socializzazione con percorsi di reiserimento socio-lavorativo. 
Talvolta infatti, la "semplificata" domanda di soddisfazione dei bisogni primari, nasconde una domanda molto più complessa e più ampia.

lunedì 14 maggio 2012

etichettamento

La grande eterogeneità che caratterizza questa popolazione, ci permette di capire quanto spesso l'uso indiscriminato di determinati termini, ad esempio "i barboni" contribuisce a creare un atteggiamento di etichettamento, quindi un atteggiamento discriminante: "Il barbone è un uomo di mezza età, con lunga barba incolta, sporco, trasandato, schivo, ubriacone, che chiede continuamente soldi ai semafori".
C'è una spersonalizzazione e generalizzazione di un insieme di caratteristiche che spesso non sono neppure corrispondenti al vero, o sono solo parzialmente vicine al reale.
Nella maggior parte dei casi, la strada non è una scelta, ma diventa una circostanza alla quale la persona non riesce a sottrarsi.
Si tratta di persone che spesso hanno subito una rottura delle relazioni con la propria famiglia, e/o congiunture socio-economiche che li hanno portati a condizioni di "povertà".
E' bene quindi iniziare a pensare alla singolarità e all'unicità della persona, ricordandosi che il senza dimora è, né più né meno, un uomo, con i suoi pregi, i suoi difetti, e la sua storia.

lunedì 7 maggio 2012

houseless o homeless?

Come potrete notare in seguito, intendo concentrare la mia attenzione in particolare su di una fetta di popolazione che si trova in strada: i cosiddetti "senza dimora".
Sono molteplici i termini con cui si definisce questa popolazione: i barboni, i senzatetto, i senzafissadimora, gli invisibili, i nessuno, gli esclusi e vari altri. A causa dell'eterogeneità che li caratterizza è difficile individuare una definizione univoca.
Sono diverse le cause per cui un individuo si trova a vivere e/o dormire in strada: problematiche lavorative, abitative, sanitarie. Le motivazioni sono le più svariate, come la perdita di lavoro, il divorzio, le dipendenze da droghe, alcol, gioco d'azzardo, nonché patologie psichiatriche e altre ancora. Talvolta queste si sommano tra loro rendendo la condizione della persona multiproblematica.
Le scienze sociali fanno un'interessante distinzione tra houseless e homeless.
Sono definiti houseless i senza casa, intesa come abitazione; mentre gli homeless sono coloro che vivono anche una deprivazione, un impoverimento relazionale e, quindi, un'emarginazione sociale.