giovedì 21 giugno 2012

passato e futuro

I padri della Costituzione Italiana, mettendo nero su bianco l'articolo 3, hanno dato voce ad una preoccupazione seria e concreta: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Un articolo, questo, che ha più di 60 anni, ma che è al quanto attuale se messo a confronto con la situazione di povertà odierna, dove i meno fortunati sono tagliati fuori sia dall'uso di risorse per se stessi, sia dalla possibilità di essere risorsa per il proprio Paese.
Alcuni dati Istat dei mesi scorsi fanno riflettere: in Italia i poveri di "povertà relativa" sono 8.272.000 (il 13,8% della popolazione). E dentro a questa cifra c'è una fascia di 3.129.000 soggetti classificati nella "povertà assoluta" ( il 5% della totalità).
Ma aldilà dei dati, bisogna ricordare che la povertà cresce o diminuisce sotto la spinta di fattori storici, perché si tratta di un processo dinamico. E infatti, a tutt'oggi si parla anche di una categoria intermedia di persone "impoverite", una fascia cioè che include uomini e donne costretti a cambiare abitudini per arrivare a fine mese. 
Il sospetto è che in futuro la povertà assumerà proporzioni ancora più consistenti poiché ci si chiede, per esempio, che fine faranno i giovani che oggi non studiano e non lavorano o sono precari.
La manovra economica attuale, resa necessaria dalla crisi mondiale, insieme all'istituzione "famiglia" (da sempre ammortizzatore sociale, ma oggi con pochi sgravi fiscali) aiuterà la crescita oppure no?
Perché, se così non sarà, allora davvero si sta costruendo la povertà del futuro.

Liberamente tratto da: Caritas Italiana - Fondazione Zancan, Poveri di diritti, Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia, ed.Il Mulino, pg.7-11

mercoledì 20 giugno 2012

la famiglia al centro

Molto ruota attorno alla famiglia. La crescita morale e culturale certo, ma anche la crescita (o decrescita) economica.
Sono circa il 45% del totale, le famiglie "agiate" chiamate così perché al riparo dalla crisi economica. Le altre sono in rosso oppure nel limbo, in proporzione diversa e a seconda delle regioni della Penisola.
Poi c'è il problema delle nascite. Ogni coppia riflette molto sul concepimento dei figli anche per la mancanza di politiche a sostegno della famiglia.
L'Italia trovandosi al 27° posto (l'ultimo) della crescita demografica europea, conferma la frase del cardinal Bagnasco, il quale ha parlato di "lento suicidio".
In altre parole non si investe nelle nuove generazioni e l'Italia, parafrasando un vecchio film, diventerà sempre più un paese per vecchi.
Lo spostamento dell'età del matrimonio poi, sommato al ritardo nella procreazione, porta ad un calo della natalità anche per fattori biologici della donna, già soggetto, questa, di precarietà nel mondo del lavoro.
Ripartire dalla famiglia quindi, sembra urgente e necessario in questo momento storico. Ed è per questo motivo che bisogna rimuovere tanti, troppi ostacoli che la mortificano.
Rivedere i servizi per l'infanzia, gli anziani e i disabili a domicilio; creare asili nido abbassando i costi, garantire il lavoro alla donna per preservarne la dignità e la ricchezza economica. 
Non da ultimo serve una seria riforma del Fisco attraverso una legislazione che superi qualsiasi divisione politica rimettendo al centro proprio la famiglia.

Liberamente tratto da: Caritas Italiana- Fondazione Zancan, In caduta libera, Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, ed. Il Mulino, pg.18-22.

Hans Cassonetto

<< Giovanni Valentin, senzatetto di Bolzano detto "Hans Cassonetto", è morto bruciato la notte di Natale. Aveva 66 anni ed è stato ucciso dal piccolo fuoco che aveva acceso per scaldarsi. Dopo qualche giorno, si è scoperto che quella di rovistare tra i cassonetti per sopravvivere era diventata per Hans una scelta: un anno fa, infatti, aveva rifiutato un'ingente eredità [...]; lui diceva che "soltanto così poteva sentirsi libero"[...] >>
tratto da: www.corriere.it, Hans cassonetto, senzatetto per scelta: "solo così posso sentirmi libero", Corriere della sera, 29 dicembre 2011
Una cosa che spiazza totalmente di questo articolo, aldilà della tragedia descritta, è la scelta di Hans di rifiutare anche l'eredità, perchè  "soltanto così poteva sentirsi libero".
E' assolutamente una scelta controcorrente. Si può essere liberi vivendo, cercando nei cassonetti qualcosa da mangiare? In balia delle intemperie, senza un riparo?
Sembra una grossa provocazione quella che Hans ci ha lanciato: noi che abbiamo casa, auto e soldi, siamo veramente liberi?
C'è una piccola percentuale, ma c'è, di senzatetto per scelta. Sono persone che, per diversi motivi, hanno scelto la strada. Aldilà delle singole motivazioni di ciascuno, quello che sembra arrivarci come messaggio predominante, è che si può vivere anche senza l'ossessione del denaro.

martedì 19 giugno 2012

giocare o giocarsi?

Non è infrequente purtroppo, tra coloro che vivono ai margini, la problematica della dipendenza dal gioco.
I media negli ultimi anni, hanno lavorato molto per enfatizzare la vincita al gioco d'azzardo.come risposta a tanti problemi. Il messaggio lanciato è: "facile giocare, facile vincere" (cosa quest'ultima non vera, almeno per quanto riguarda le cifre più significative).
Assolutamente diseducativo, il gioco d'azzardo, oltre a creare dipendenza ed ossessione, induce a pensare che si possa cambiare la propria vita senza alcuno sforzo, come se il mutamento arrivasse dalla "dea bendata".
Il cambiamento è invece un processo che richiede energie, capacità gestionali e, non da ultimo, forza di volontà "mettendosi in gioco".
Non è sufficiente avere una grossa vincita per riuscire a cambiare la propria vita, perché di fatto chi non è stato capace di gestire soldi e relazioni prima, non lo saprà fare neppure dopo se, non ha prima fatto un grosso lavoro su se stesso.
...Non a caso, un famoso detto popolare dice: "AIUTATI CHE IL CIEL T'AIUTA".

lunedì 18 giugno 2012

la leggenda del santo bevitore

Il film "La leggenda del santo bevitore", narra la storia di Andreas, un senzatetto a cui vengono offerti 200 franchi da un distinto signore sconosciuto, d'accordo che li avrebbe riportati la domenica mattina dopo la Messa nella chiesa dove si trova la statua di Santa Teresa di Lisieux.
Nel tentativo di fare ciò, Andreas ha a che fare con una serie di circostanze che lo allontanano e lo avvicinano al suo obiettivo.
Alcuni passaggi di questo film non sono immediati, ed esso non è sempre facile da capire.
E' un film che parla della povertà materiale nella figura di Andreas, ma mette però ancor più in evidenza tutta una ricchezza valoriale: il senso del dovere e l'onore di un patto mantenuto, la fiducia di uno sconosciuto, l'amicizia di un amico, l'amore di una donna, la dignità nel prendersi cura di sè, la generosità e solidarietà nel dare ad un amico "bisognoso" i 200 franchi.
Questi valori sono sicuramente amplificati nel film, ma sono valori che io ho ritrovato anche in molte persone che vivono in strada.
Riflettendo infatti sulla generosità, una delle cose che più mi ha colpito quando ho inziato il tirocinio nel centro diurno per indigenti, è stata quella di vedere come tra poveri ci si offrisse il caffè: persone che si creavano un debito per offrire un caffè. La cosa può essere vista, non a torto, come una cattiva gestione dei soldi, ma a me piace pensarla come gesto di estrema generosità.
Prendersi cura di sè è un segno di grande affetto verso la propria persona, e quando ci si vuole bene si è anche più disposti verso gli altri, verso la relazione. Tra l'altro le persone si avvicinano più facilmente.
Purtroppo chi vive in strada è talvolta vittima di un atteggiamento spersonalizzante; egli è considerato privo di valori, come un animale, per qualcuno, come una "bestia". Dobbiamo quindi ricominciare a guardare negli occhi l'uomo che abbiamo davanti ed iniziare ad ascoltare di più i suoi silenzi.
Infine, un altro aspetto importante che viene toccato nel film e che ritrovo nei senzatetto, è la forte presenza del passato. Un passato che ritorna prepotentemente a paralizzare la persona, e che non gli permette di fare il salto di qualità, il cambiamento auspicato.

nessuno può agire da solo

In occasione dell'inaugurazione di un nuovo rifugio Caritas per senzafissadimora a Milano, l'arcivescovo Scola ha affermato che: "Proprio in questo momento di crisi, spero che la solidarietà cresca e che chi ha la responsabilità economica e politica del Paese crei incessantemente le forme per alleviare al massimo i disagi"; egli inoltre ha sottolineato (cosa secondo me molto importante), accennando al progetto che la Caritas ha presentato associato al rifugio: "Non solo intervento sul bisogno immediato, ma è previsto anche tutto un processo di recupero e reinserimento, per quanto è possibile, perchè la libertà dell'uomo è la libertà dell'uomo, ma sono tante le forme e i modi con cui si deve e si può operare perchè ricresca la coesione nella nostra società e la fiducia reciproca".
Sempre più, è richiesto a chi opera nel sociale, pubblico o privato che sia, di non limitarsi ad interventi di mero assistenzialismo, ma di avere uno sguardo che va oltre, per osare di più. Da un lato è richiesta, da parte di istituzioni, organi, associazioni, di investire maggiore impegno ed energie per una finalità più alta, non solo soluzioni tampone, ma risposte a lungo termine che prevedano un reale e graduale reinserimento. Dall' altra parte, si sottolinea la necessità di una ritrovata coesione sociale e quindi un impegno, un mettersi in moto che non sia calato dall'alto, ma che parta dalla base: tutti ci dobbiamo attivare per creare legami, relazioni attive e positive nonché atteggiamenti di riduzione delle disparità.
Testore, il Presidente della Caritas Ambrosiana, rimarcando infine la necessità della collaborazione tra pubblico, privato e cittadini, ha aggiunto che: "Qualunque attenzione caritativa ha bisogno di molte energie. Nessuno, credo, può riuscire ad agire da solo".
Ciascuno deve perciò fare la propria parte.


Tratto da:  www.famigliacristiana.it, video-intervista di A. Braccini, Scola: il dovere della solidarietà.

domenica 17 giugno 2012

album di vite

Non è un libro. E' un vero album fotografico quello che rappresenta il risultato finale del progetto di Salvo Galano, fotografo milanese che ha deciso di immortalare dentro ad uno studio improvvisato, le vite dei senzatetto di New York.
Ciò che si prova guardando delle fotografie in bianco e nero scattate all'inizio degli anni Duemila, è sicuramente una sensazione di dolcezza e malinconia. Questo effetto è generato dal fatto che ogni persona ha raccontato la sua storia, che spesso è anche una storia normale. Veterani del Vietnam divenuti disoccupati, figli sbattuti fuori di casa, malati e disabili, alcolizzati e prostitute per scelta o necessità, sono solo alcune delle tipologie di persone che frequentano la Holy Apostles Soup Kitchen (Mensa dei poveri SS. Apostoli).
Salvo Galano li ha incontrati questi senzatetto e lo ha fatto per rendere un "servizio". Lui, fotografo di professione di grandi testate giornalistiche, ha scelto di eliminare qualsiasi distinzione tra "noi" e "loro".
Egli ha voluto fissare l'essere, l'amore, la bellezza di tante persone facendole posare con uno sfondo semplice semplice.
Le fotografie di Galano vogliono far percepire l'umanità di uomini e donne bisognosi che esistono anche se la società lo nega. 
Galano stesso racconta come da volontario presso la mensa, gli si sia aperto un mondo che non conosceva. Un mondo di povertà che offende ogni essere umano che vive in una società che si dice "civile" ma che non riesce a risolvere il problema.
Come dicevo all'inizio, questo non è un libro da leggere ma solo da sfogliare. Io mi sono commossa nel vedere come, dietro ad ogni fallimento e ad ogni disperazione, ci sia sempre e comunque una possibilità o, semplicemente, un sogno.

S.Galano, Storie di strada, Ed. Peliti Associati, 2001

a quell'incrocio

Nel luglio del 2011, un mattino mentre andavo a lavorare, ho notato che, attorno al palo di un semaforo di una strada che percorro abitualmente, vi erano appesi mazzi di fiori e foglietti di carta.
Poche ore dopo mi si è svelato il mistero: un articolo di giornale raccontava di Barbara, una clochard morta in un incidente stradale. La ragazza che io, come centinaia di altre persone, quotidianamente trovavo da anni a chiedere l'elemosina a quel semaforo. 
Mi ha molto colpito e fatto riflettere, l'osservare quanti messaggi di saluto e affetto erano, e sono tutt'ora, appesi a quel palo.
Viene da chiedersi, ma era veramente così "invisibile" quella ragazza con gli occhi azzurri e profondi come l'oceano?
Lancio una provocazione: c'è nella tua città una persona come questa ragazza, un invisibile che incroci quotidianamente? Ti sei mai chiesto "CHI" E'?

giovedì 14 giugno 2012

raccontarsi

"L'unico modo che abbiamo per affermare e al tempo stesso ri-conoscere in modo riflessivo noi stessi, il nostro modo di comportarci, le nostre credenze, le nostre speranze è quello di raccontarli agli altri e a noi stessi." 
Tratto da: Atti del corso di formazione "L'importanza di raccontarsi", di A.Ferrari, F. Cozzi, Vicenza, 31 maggio 2012
 Perchè raccontarsi?
Il raccontare la propria biografia permette di ricostruire ed esplicitare gli eventi, le azioni , gli stati d'animo, secondo il proprio punto di vista. Ciò che si ricorda è ciò che è ritenuto, consciamente o inconsciamente, importante. E' ciò a cui attribuiamo un significato. Le sfumature acquistano un ruolo determinante nel racconto.
Raccontarsi porta a dover prendere maggiore coscienza degli eventi.
Il racconto del passato parla molto della persona presente.
Raccontarsi, condividere esperienze, ha inoltre una grande azione socializzante, favorisce la creazione di legami.
Può diventare strumento per sentirsi protagonisti nella propria storia.
"Il narratore dipana la sua storia affinche narratore e protagonista diventino la stessa persona con una comune consapevolezza di sè: il narratore quindi non si limita al solo racconto di una storia, ma giustifica e spiega gli eventi non solo agli altri, ma anche a se stesso."
Bruner
Il raccontarsi acquisisce quindi una grande valenza terapeutica.
Poter leggere con occhio critico la propria storia (senza condanne nè facili giustificazioni) è il primo passo verso il cambiamento.

mercoledì 13 giugno 2012

resilienza

Il termine resilienza deriva dal latino "resalio", "salio", che significa saltare, rimbalzare.
In ingegneria indica la capacità di un materiale di subire un urto improvviso, assorbendolo senza spezzarsi.
Questa definizione, trasferita nella psicologia, indica la capacità di un individuo che ha subìto un forte trauma, di rialzarsi, e di far fronte al trauma in maniera positiva.
 Un paragone molto significativo è quello riportato da Peter Levine: "Un albero ferito da giovane, cresce intorno alla ferita".

Perché tratto questo tema?
La strada è ricca di persone che non sono riuscite a fare questo passaggio.
La resilienza richiede tempo per far decantare il trauma, ma poi è necessaria una presa di coscienza dello stesso. Allontanarlo sì, ma non negarlo.
La resilienza comporta la necessità di cambiare prospettiva, implica la capacità di trasformare un'esperienza negativa in occasione di apprendimento.

Steven Sybol Wolin, la definisce formata da 7 caratteristiche:
  • assunzione di consapevolezza
  • indipendenza
  • relazioni
  • iniziativa
  • creatività
  • humor
  • etica
Caratteristiche che spesso scarseggiano in chi vive in strada, e che andrebbero invece alimentate.
Per concludere la Resilienza è, a mio avviso, lo sganciarsi da una zavorra che trattiene ancorati al fondo.

giovedì 7 giugno 2012

la rete

La tipologia e i bisogni delle persone che vivono in strada sono molto variegati.
Si verifica perciò la necessità che il senzadimora afferisca a più servizi diversi. Questo presuppone che i servizi siano in grado di lavorare in rete.
Indispensabile è una visione olistica della persona; essa va cioè considerata nel suo aspetto psichico, fisico e sociale.
I vari servizi che lavorano con la persona dovrebbero imparare a cooperare maggiormente tra di loro. E' dimostrato che più i servizi coinvolti sono in grado di dialogare tra di loro, più è alta la probabilità di un esito positivo dell'intervento perchè c'è una rete che supporta e condivide lo stesso progetto. 
Inoltre, chi si ritrova in strada, spesso non ha chiari riferimenti sul come e cosa fare, verso chi rivolgersi. Una buona rete (e quindi alti livelli di collaborazione tra servizi), permette di orientare ed indirizzare al meglio; il tutto senza inutili perdite di tempo e il conseguente rischio di disillusione e demotivazione dell'utente.
Non meno importante è il fatto che un buon lavoro di rete è un ottimo fattore di riduzione della dispersione di energie per gli operatori, occasione di scambio di idee, di punti di vista diversi e di confronto.

samurai

Se cadere non dipende da te, risalire sì.
E' questione di forza e di coraggio.
Di ideali e di passione.
Bisogna essere samurai.
Soltanto in pochi ce la fanno, i più si addormentano e diventano anime perse che ad un certo punto si dissolvono.
Io sono un uomo fortunato.
Mi chiamano Il Profeta, ma sono solo un uomo che ha sconfitto la notte.
Angelo Starinieri, Angelo Smarrito, Sperling & Kupfer, pg.200

mercoledì 6 giugno 2012

la strada ti cambia

La strada ti cambia, è difficile perciò tornare indietro quando sono anni che ci sei dentro.
Si crea una sorta di nuovo equilibrio, per questo è necessario intervenire precocemente.
I fallimenti che hanno condotto l'uomo in strada tornano a farsi sentire come macigni ogni qualvolta si presenta l'occasione di allontanarsi da essa.
Sorgono i dubbi, le paure, talvolta a livello inconscio: "...e se non ce la dovessi fare anche stavolta? Significherebbe confermare la mia 'nullità' ..allora forse è meglio restare dove sono..."
Uscire comporta il dover cercare nuovi equilibri, ricostruire una modalità di stare assieme  nella società. Uscire quindi è più facile se la persona è ai margini da un breve periodo e non ha ancora assorbito le modalità della strada. Più lungo è il tempo di permanenza più ci sarà necessità di un percorso di accompagnamento e reinserimento.
Fondamentale è però la motivazione, la spinta al cambiamento; essa è determinante per il buon esito del reinserimento del soggetto nella società.

lunedì 4 giugno 2012

intervento precoce

Un aspetto fondamentale da ricordare, se si vogliono fare interventi educativi in contesti di marginalità grave, è che l'intervento si rivela più efficace quanto più è precoce. 
Si delinea quasi un'epoca d'oro dell'intevento per chi è in strada: entro un anno dal debutto, altrimenti il rischio di cronicizzazione aumenta e con essa l'indebolimento della soggettività, il credere meno che sia possibile un futuro diverso, che richiede la convinzione e l'ingaggio nel rimontare un presente avverso.
L.Grosso, Cosa abbiamo imparato insieme ai senza dimora? Animazione Sociale N.5, 2009, pg.91
E' deducibile quindi che, prima sono attivati gli interventi, maggiori sono le probabilità di adesione e di successo. Allo stesso modo, più si tarda ad intervenire, più alta è la probabilità di non adesione al progetto o del suo fallimento.

venerdì 1 giugno 2012

il solista

Un film che ritengo molto interessante è Il solista. Film del 2009 di Joe Wright, tratto da una storia vera raccontata nell'omonimo libro di Steve Lopez.

Un giornalista in cerca di scoop si imbatte in una melodia di violino. Un violino con solo due corde suonato da un senzatetto. Il giornalista rimane colpito da questo strano personaggio e da lì inizia la sua ricerca per capire chi è. In questo tentativo di conoscenza e di aiuto nasce una strana ed insolita amicizia.

Molte tematiche educative emergono in questo lungometraggio. Una su tutte mi ha colpito: il dover imparare a fare i conti con le proprie aspettative sull'altro.
Spesso chi ha ruoli educativi si pone in un atteggiamento da "salvatore". L'educatore sa cosa è bene per l'educando e quest'ultimo deve semplicemente fare ciò che gli viene detto. Ma è questo il vero bene per l'educando? Spesso nei contesti educativi si calano i progetti dall'alto, si ha fretta di ottenere risultati, ma non si rispettano i tempi dell'altro. Ciò provoca una grande frustrazione nell'utente che finisce per aderirvi solo per compiacimento e non per una reale motivazione.
I "no" detti anche tra le righe, alle figure educative, vanno indagati, non vanno presi come affronti personali; va colto cosa si cela dietro di essi, vanno accettati e, se necessario, devono essere ridimensionati o revisionati gli obiettivi.

mercoledì 30 maggio 2012

profondità

Il grave peccato del sapere oggi è la mancanza di profondità. Chi lavora sulla strada sa invece che la "strada" è il luogo in cui ogni sapere cozza contro i propri limiti. E' un luogo di formazione e di educazione permanente. Non c'è posto sulla strada per facili certezze, per facili scorciatoie. La strada provoca a scendere in profondità, a impastarsi nella storia delle persone, ad accoglierla ma, più ancora a riconoscerla. Perchè non basta accogliere l'altro, bisogna saperlo riconoscere. E quando riconosci l'altro, la sua storia, ti accorgi che la strada non è mai una scelta, ma è sempre il segno della distanza delle persone dai propri diritti.
Tratto da: Entrare di più nella storia, Intervista a L. Ciotti a cura di R. Carmalinghi, Animazione Sociale n.10, 2009, pg.3

lunedì 28 maggio 2012

sedie


Se fisso i miei piedi
i ricordi son tetri,
e alla mia mente
riaffiorano i metri .

Decine, unità,
chilometri d’anni,
fatti qui dentro,
qui nei miei panni .

Da bimbo m’alzavo
la sedia era un letto,
e ogni sbadiglio
un sogno in difetto .

Correvo da mamma
con passi innocenti,
sul vecchio parquet
...tamburi battenti .

Muri e finestre,
porte e balconi,
formavano stanze,
stanze in mattoni .

Nella mia fantasia
sembravano regge,
oggi son quotidiani
che nessuno più legge .

Io vago per viali,
io sosto per vie,
se passa qualcuno
io sto sulle mie .

Se scende la notte
qualunque essa sia,
aspetto quel sonno
che fa compagnia .

E i sogni che faccio
mica son terni,
ma anni di scuola,
penne e quaderni .

Piegato sui libri
non ero mai stanco :
era d’aula la sedia
sotto a quel banco .

Uscito da scuole
con foglie d’alloro,
un posto cercai
colore dell’oro .

Nel tanto bussare
una sedia trovai,
già tasti e bottoni,
non più calamai .

Poi venne la crisi
di quelle ben toste,
e così coi verdoni
prendei le batoste .

Se penso alle donne,
quante ne ho amate !
Con queste mie mani
carezze ne ho date .

Le sporche mie dita
oggi dicono niente,
ma ciò che han toccato
mi torna alla mente .

Risento il profumo
di un seno e di pelle,
ecco ancora una sedia :
lei la Mia tra le belle .

Con questi ricordi
affronto i dolori,
e faccio di tutto
per fissare i colori .

Piano o di corsa
io provo e riprovo,
finché una panchina
è la sedia che trovo .

Con questi pensieri
affronto la gente     
e quella per-bene,
e quella per-niente .

E dico ai miei occhi
di urlare nei cuori :
“io dentro son uomo,
ma son uomo fuori...” 

                          Riccardo Grotto


 La poesia ha come filo conduttore qualcosa o qualcuno su cui “sedersi”: è la storia di una vita fatta di tappe concrete ed emozioni, incontri ed eventi, età e luoghi diversi. Un insieme di cose ricordate ad occhi aperti o ad occhi chiusi. Tante cose che sembrano aver avuto termine chissà per quali intoppi; ma di certo tutto questo ha lasciato il segno, comunque. Forse tutto questo è solo scritto negli occhi silenziosi di colui che racconta o potrebbe raccontare. Chi saprà guardare costui negli occhi leggerà e capirà. E capirà anche che questo Senzatetto che parla è una persona normale, normalissima a volte. Che la vita ha messo fuori, pur lasciandolo uomo dentro.

venerdì 25 maggio 2012

la strada ammala

Una cosa che ritengo spesso trascurata e ignorata, è la presenza tra i senzafissadimora, o comunque tra coloro che si trovano ai margini, di una grande incidenza di problematiche sanitarie.
La vita di strada non consente una buona cura di sè, quindi non è infrequente incontrare soggetti con delle problematiche infettive e/o con un precario stato di salute mentale.
Dentro a questo mondo vi è infatti un'elevata estensione di sofferenza psichica.
"Appare una prevalenza di disturbi psicotici e depressivi gravi che indica un alto grado di sofferenza mentale, un più pesante livello di destrutturazione, in cui l'aggressività non è solo eterodiretta o assume la forma della provocazione, della pretesa o della maschera di ruolo, ma risulta fortemente autoindirizzata, con un esame di realtà molto più indebolito, con comportamenti meno prevedibili e maggiormente a rischio."
L.Grosso, Cosa abbiamo imparato insieme ai senza dimora?, Animazione Sociale n.5, 2009, pg.91
Si può concludere quindi che la vita di strada e la marginalità possono solo favorire l'insorgenza di questi disturbi e il loro aggravamento.

giovedì 24 maggio 2012

Il lavoro

Nel secondo dopoguerra, nei Paesi industrializzati (tra cui anche l'Italia), c'è stata  una forte spinta verso un maggior benessere della popolazione, dove il lavoro rappresentava lo strumento per raggiungere questa condizione.

Negli anni '60-'70 il lavoro assume la funzione di integratore sociale. In quegli anni è sinonimo di universalismo e solidarietà. Il lavoro rappresenta uno status sociale e ciò procura al lavoratore stesso  un riconoscimento all'interno della società. L'attività lavorativa assicura identità all'individuo, ma anche un'identità collettiva e un'appartenenza sociale. In quegli anni nascono il sistema pensionistico, sanitario, scolastico e sociale in Italia. Il lavoro diviene quindi anche strumento per la partecipazione al benessere collettivo.

Negli anni '80 il lavoro perde i significati precedenti e acquista i nuovi significati di autonomia e responsabilità. Se precedentemente quindi era "povero" chi non aveva un salario, in quegli anni lo stesso termine è attribuito ad un senso di non autonomia e irresponsabilità.

Oggi al lavoro è attribuito solo un significato di produzione del reddito. Si ha una scomposizione funzionale della vita sociale in settori di ogni ambito vitale dell'individuo, ognuno con il suo proprio obiettivo. Il rischio di scivolare nella povertà quindi aumenta, non solo per l'incapacità dell'individuo di tenere separati i diversi ambiti, ma anche  per l'essere egli stesso troppo vincolato ad un'attività che dava identità sociale.
Il lavoro non è più il grande integratore produttore di uno status, ma allo stesso tempo oggi non c'è nessuna alternativa a questo suo vecchio ruolo. Il lavoro inoltre è sempre più sganciato dal luogo di appartenenza sociale e relazionale. Non da ultimo, non esiste una stabilità per il lavoratore a cui di fatto è richiesta sempre più flessibilità, con una identità personale che passa gradualmente in secondo piano rispetto al lavoro stesso.                  
Per favorire un reinserimento di soggetti in difficoltà sarebbe buona prassi aiutare innanzitutto la persona a raggiungere una maggiore stabilità. Successivamente bisognerebbe promuovere attività lavorative con una doppia valenza tecnico-produttiva e di accompagnamento della persona.

Liberamente tratto da: G.Invernizzi, Se il lavoro non è più il grande integratore, Animazione Sociale n.4, 2009, pgg.62 e succ.

martedì 22 maggio 2012

relazioni e appartenenza

La condizione di grave marginalità e di esclusione sociale è caratterizzata da assenza di risorse per condurre una vita dignitosa, ma anche (e ciò è spesso sottovalutato) da compromissione delle relazioni e del senso di appartenenza.
Come scrive G.Invernizzi, si osserva che nelle fasi iniziali del processo di esclusione sociale si verifica un lento logoramento e allontanamento della rete parentale e amicale. In seguito la stessa cosa succede  per la rete dei servizi sociali pubblici e privati di riferimento. Al contempo si ha la costruzione di una nuova rete di appartenenza riferita al contesto di marginalità. Rete in cui il soggetto si sente riconosciuto e trova nuove forme di appartenenza e protezione.
L'appartenenza ad un gruppo di pari (cioè di persone che condividono lo stesso disagio) favorisce un nuovo equilibrio nella persona, in quanto il gruppo è portatore di identità, di regole e di riconoscimento.
"Entrare in rapporto vuol dire riattivare un motore, motivare la persona a mettersi in gioco."

G.Invernizzi, Riaprire la possibilità di un'altra storia, Animazione sociale n.4, 2009, pg.55
Favorire il crearsi di un gruppo di mutuo aiuto non ha solo funzione affettiva, poichè le relazioni che si creano incidono sul soggetto, sulla sua fiducia e motivazione.
 "Si sta prendendo consapevolezza che non esistono soggetti che accettano la relazione e altri che non l'accettano, ma che esistono dei tempi, delle situazioni e delle modalità per costruire delle relazioni con le persone in condizione di esclusione. La relazione è una modalità di intervento che può essere giocata con tutte le persone, ma va personalizzata, non può essere standardizzata."
G.Invernizzi, Riaprire la possibilità di un'altra storia, Animazione Sociale n.4, 2009, pg.55




venerdì 18 maggio 2012

domanda primaria

La prima necessità che emerge quando ci si relaziona con persone che vivono in strada è la soddisfazione dei bisogni primari: mangiare, dormire,lavarsi, coprirsi. 
Sono nate a riguardo numerose strutture in tutto il territorio italiano allo scopo di dare soddisfazione a queste richieste: dormitori, mense economiche popolari, centri di prima accoglienza, unità di strada, sono solo alcune di queste risposte.
Servizi offerti e gestiti sia dai comuni attraverso i servizi sociali che dal mondo del privato come associazionismo religioso e laico. Grande il contributo del volontariato.

L'associazione presso cui io svolgo il tirocinio, offre un servizio di prima accoglienza. Si occupa di distribuzione dei pasti, servizio doccia, ma offre anche un luogo di socializzazione con percorsi di reiserimento socio-lavorativo. 
Talvolta infatti, la "semplificata" domanda di soddisfazione dei bisogni primari, nasconde una domanda molto più complessa e più ampia.

lunedì 14 maggio 2012

etichettamento

La grande eterogeneità che caratterizza questa popolazione, ci permette di capire quanto spesso l'uso indiscriminato di determinati termini, ad esempio "i barboni" contribuisce a creare un atteggiamento di etichettamento, quindi un atteggiamento discriminante: "Il barbone è un uomo di mezza età, con lunga barba incolta, sporco, trasandato, schivo, ubriacone, che chiede continuamente soldi ai semafori".
C'è una spersonalizzazione e generalizzazione di un insieme di caratteristiche che spesso non sono neppure corrispondenti al vero, o sono solo parzialmente vicine al reale.
Nella maggior parte dei casi, la strada non è una scelta, ma diventa una circostanza alla quale la persona non riesce a sottrarsi.
Si tratta di persone che spesso hanno subito una rottura delle relazioni con la propria famiglia, e/o congiunture socio-economiche che li hanno portati a condizioni di "povertà".
E' bene quindi iniziare a pensare alla singolarità e all'unicità della persona, ricordandosi che il senza dimora è, né più né meno, un uomo, con i suoi pregi, i suoi difetti, e la sua storia.

lunedì 7 maggio 2012

houseless o homeless?

Come potrete notare in seguito, intendo concentrare la mia attenzione in particolare su di una fetta di popolazione che si trova in strada: i cosiddetti "senza dimora".
Sono molteplici i termini con cui si definisce questa popolazione: i barboni, i senzatetto, i senzafissadimora, gli invisibili, i nessuno, gli esclusi e vari altri. A causa dell'eterogeneità che li caratterizza è difficile individuare una definizione univoca.
Sono diverse le cause per cui un individuo si trova a vivere e/o dormire in strada: problematiche lavorative, abitative, sanitarie. Le motivazioni sono le più svariate, come la perdita di lavoro, il divorzio, le dipendenze da droghe, alcol, gioco d'azzardo, nonché patologie psichiatriche e altre ancora. Talvolta queste si sommano tra loro rendendo la condizione della persona multiproblematica.
Le scienze sociali fanno un'interessante distinzione tra houseless e homeless.
Sono definiti houseless i senza casa, intesa come abitazione; mentre gli homeless sono coloro che vivono anche una deprivazione, un impoverimento relazionale e, quindi, un'emarginazione sociale.

lunedì 30 aprile 2012

marginalità

 Il termine marginalità deriva dal germanico "marka" che significa frontiera, confine. Da qui marginale è colui che sta sul confine, ai confini della società.
Alcuni gruppi marginali sono riconosciuti dal contesto sociale, in quanto portatori di abilità socialmente condivise, prerogative del gruppo di appartenenza.
Più spesso però la marginalità è rappresentata da soggetti che non si presentano come risorsa, allontanandosi dalla definizione di "normalità" (dove per normalità si intende un modo di comportarsi e pensare adeguato alle consuetudini e regole della società in cui si vive).
L'emarginazione è un processo operato dalla società che è caratterizzato da stigmatizzazione e allontanamento del soggetto; rappresenta una marginalità che non si sente, che non si vede, ma che purtroppo c'è.
Molto più rumorosa, in quanto fonte di allarmismo sociale, è la devianza, caratterizzata da comportamenti che vanno contro le norme sociali.


Tratto da: F. Manoukian. Attrezzarsi a lavorare con storie di grave marginalità. Animazione sociale. n.4. Anno 2009

martedì 10 aprile 2012

io e la strada

Il mondo della strada, 
un contesto misterioso, talvolta oscuro, sicuramente molto eterogeneo e variegato;
esso ha sempre suscitato in me una strana attrazione, curiosità, non paura, prudenza talvolta.
Ho avuto la grande fortuna di poter svolgere il mio tirocinio di Scienze dell'Educazione, in una struttura che mi permette di conoscere una piccola fetta di questo mondo e vorrei poter condividere con voi la mia scoperta e riscoperta della popolazione che lo abita.

Katia T.