giovedì 24 maggio 2012

Il lavoro

Nel secondo dopoguerra, nei Paesi industrializzati (tra cui anche l'Italia), c'è stata  una forte spinta verso un maggior benessere della popolazione, dove il lavoro rappresentava lo strumento per raggiungere questa condizione.

Negli anni '60-'70 il lavoro assume la funzione di integratore sociale. In quegli anni è sinonimo di universalismo e solidarietà. Il lavoro rappresenta uno status sociale e ciò procura al lavoratore stesso  un riconoscimento all'interno della società. L'attività lavorativa assicura identità all'individuo, ma anche un'identità collettiva e un'appartenenza sociale. In quegli anni nascono il sistema pensionistico, sanitario, scolastico e sociale in Italia. Il lavoro diviene quindi anche strumento per la partecipazione al benessere collettivo.

Negli anni '80 il lavoro perde i significati precedenti e acquista i nuovi significati di autonomia e responsabilità. Se precedentemente quindi era "povero" chi non aveva un salario, in quegli anni lo stesso termine è attribuito ad un senso di non autonomia e irresponsabilità.

Oggi al lavoro è attribuito solo un significato di produzione del reddito. Si ha una scomposizione funzionale della vita sociale in settori di ogni ambito vitale dell'individuo, ognuno con il suo proprio obiettivo. Il rischio di scivolare nella povertà quindi aumenta, non solo per l'incapacità dell'individuo di tenere separati i diversi ambiti, ma anche  per l'essere egli stesso troppo vincolato ad un'attività che dava identità sociale.
Il lavoro non è più il grande integratore produttore di uno status, ma allo stesso tempo oggi non c'è nessuna alternativa a questo suo vecchio ruolo. Il lavoro inoltre è sempre più sganciato dal luogo di appartenenza sociale e relazionale. Non da ultimo, non esiste una stabilità per il lavoratore a cui di fatto è richiesta sempre più flessibilità, con una identità personale che passa gradualmente in secondo piano rispetto al lavoro stesso.                  
Per favorire un reinserimento di soggetti in difficoltà sarebbe buona prassi aiutare innanzitutto la persona a raggiungere una maggiore stabilità. Successivamente bisognerebbe promuovere attività lavorative con una doppia valenza tecnico-produttiva e di accompagnamento della persona.

Liberamente tratto da: G.Invernizzi, Se il lavoro non è più il grande integratore, Animazione Sociale n.4, 2009, pgg.62 e succ.

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